La Gola del Furlo: 3.600 ettari di biodiversità, di eccellenze naturalistiche e di importanti peculiarità storico-culturali; uno straordinario mosaico di paesaggi in grado di raccontare un’ evoluzione naturale iniziata ben 250 milioni di anni fa e una avvincente storia umana lunga 3000 anni!

 

ECCELLENZE NATURALISTICHE

 

Gli ambienti rupestri

La gola rupestre, oltre a offrire un paesaggio di stupefacente bellezza, costituisce, dal punto di vista floristico e faunistico, il settore più importante e più ricco della Gola del Furlo. Il particolare microclima, l’esposizione dei versanti e la composizione geologica hanno creato, proprio sulle rocce, le condizioni di vita per alberi e arbusti termofili dalle forme contorte e per specie erbacee rare. Tra le specie mediterranee sempreverdi ricordiamo il Leccio (in grado di spingersi fino al limite verticale), il Bagolaro, il Corbezzolo, la Fillirea, lo Smilace e il Laurotino. A queste si affiancano specie caducifoglie quali lo Scotano e l’Albero di Giuda. Tra le specie erbacee rupicole la rara ed endemica Moehringia papulosa, la Campanula di Tanfani, la Gramigna dell’Appennino e le piccole felci Asplenio grazioso e Asplenio tricomane. Nella Gola è presente anche la rara Vite selvatica.

Le pareti con le sue cavità, cenge e balze offrono riparo e luoghi adatti alla nidificazione a importanti specie di uccelli: la maestosa Aquila reale (animale simbolo della Gola del Furlo, stanziale, territoriale, presente con una coppia fin da tempi storici e regolarmente nidificante sulle pareti del M. Paganuccio), il Falco pellegrino con almeno due coppie stabili; il Lanario, il Gheppio, la Taccola; non meno interessanti, alcune specie di piccoli uccelli, nidificanti sulle pareti calcaree, come la Rondine montana, il Passero solitario e il Rondone maggiore (che trova nella gola uno dei pochi siti riproduttivi dell’intera regione Marche).

 

L'ambiente fluviale

Il fiume Candigliano, affluente del Metauro, attraversa la Gola del Furlo, trasformandosi nella parte finale in un lago artificiale per la presenza della Diga ENEL del Furlo. La vegetazione ripariale è costituita prevalentemente da Salice bianco, Salice rosso, Pioppo nero, Ontano nero, Carici. L’avifauna, annovera specie veramente interessanti, come la Gallinella d’acqua, il Martin pescatore, l’Airone cenerino, la Garzetta e la Nitticora. La parte centrale  della Gola è popolata anche dal Germano reale e nel periodo invernale dal Cormorano, che sverna nel nostro territorio. Fra i Pesci ricordiamo: Carpa, Lasca, Cavedano, Cobite comune, Alborella e l’interessante presenza del Ghiozzo padano, specie endemica dell’Italia settentrionale e centrale. Fra i Crostacei è presente il Granchio di fiume che scava le tane lungo le sponde dei corsi d’acqua.

 

Gli ambienti forestali

La lecceta e i boschi termofili

La lecceta, localizzata nei margini superiori più caldi e asciutti della Gola del Furlo, si estende nei versanti orientali dei Monti Pietralata e Paganuccio. Dalla distribuzione tipicamente mediterranea, la sua presenza sull’Appennino e alla Gola del Furlo, va interpretata come condizione relitta di epoche geologiche passate, con clima più caldo dell’attuale. Il Leccio è una quercia sempreverde molto resistente; cresce anche su suoli calcarei poveri e in luoghi con forti pendenze, dove assume portamento basso fortemente contorto. Nelle pareti rocciose la lecceta ospita alcuni arbusti, tipicamente mediterranei, come ad esempio la Fillirea, il Timo, il Terebinto, il Ginepro rosso, il Ginepro comune, lo Scotano. I boschi termofili nei versanti esposti ad oriente e in siti rivolti a sud-ovest, ospitano una flora diversificata: Leccio, Roverella, Orniello, Carpino nero, Albero di Giuda, Sorbo e Ciliegio canino.

 

La faggeta e i boschi mesofili

In un settore nord del Monte Paganuccio (tra gli 800 e i 960 mt) sono presenti lembi di Faggeta, quale testimonianza residua di un clima più freddo che alcuni secoli fa determinò un ampliamento della distribuzione del Faggio fin sull'alta e media collina. La Faggeta nella sua parte più alta termina quasi improvvisamente e solo pochi esemplari sono stati risparmiati sui prati durante la creazione dei pascoli. Verso il basso invece la Faggeta si compenetra gradualmente con il bosco misto di latifoglie: alberi come l'Acero montano, la Fusaggine il Carpino bianco e il Cerro vi crescono all’interno. In primavera diventa il palcoscenico delle fioriture di Bucaneve, Dentarie, Viole, Gigaro scuro, Erba lucciola, Sigillo di Salomone, Doronico di Colonna.

 

Boschi di conifere

Alcuni settori dei Monti Paganuccio e Pietralata, sono stati in passato dissodati, per incrementare le attività agro-pastorali a discapito delle superfici boscate. Inevitabili le condizioni di elevato dissesto e rischio idrogeologico. Tra il 1930 e il 1970 il Corpo Forestale dello Stato realizzò estesi rimboschimenti a prevalenza di conifere. Furono eseguiti numerosi impianti con specie alloctone: Pino nero, Pino marittimo, Pino silvestre, Pino d’Aleppo, Abete rosso, Abete greco, Cedro dell’Atlante, Cedro del Libano,  Cipresso dell'Arizona, Cipresso comune e Tuje. L'utilizzo di questo tipo di piante, derivò dal loro facile reperimento sul mercato, dal rapido accrescimento, dalle buone capacità di attecchimento e scarso bisogno di cure colturali. Già da tempo è in atto una spontanea rinaturalizzazione, per cui è piuttosto facile osservare situazioni di convivenza di essenze floristiche alloctone (quali le conifere) e autoctone (quali le latifoglie).

 

Fauna tipica dei boschi

I boschi, sono abitati da numerose specie di uccelli: si segnalano Allocco, Assiolo Colombaccio, Sparviere, Ghiandaia, Picchio verde e Picchio rosso maggiore, Tordela, Luì piccolo, Picchio muratore, Cince, ecc.

Tra i mammiferi segnaliamo il Lupo appenninico, la cui presenza, quale superpredatore, testimonia un elevato grado di complessità della rete alimentare della Riserva. Alla famiglia dei Mustelidi appartengono abili predatori di piccola e media taglia, come Donnola, Faina, Tasso e Puzzola, elusivi e prevalentemente notturni. Tra i mammiferi più comuni, di cui si trovano spesso le tracce, segnaliamo il Cinghiale, il Capriolo, il Daino, l’Istrice, la Lepre, la Volpe, il Moscardino, lo Scoiattolo comune, il Ghiro. Anche i Rettili popolano l'area con numerose specie fra cui ricordiamo l’Orbettino, il Ramarro occidentale, la Lucertola campestre, la Luscengola comune, la Natrice tassellata, la Natrice dal collare, la Vipera comune, il Biacco, il Saettone comune e il Cervone.

 

Gli arbusteti e i prati

I prati-pascoli di origine secondaria, costituiscono oggi ambienti di elevato valore naturalistico per la straordinaria biodiversità presente. La fascia arbustata è prevalentemente costituita da Ginepro rosso, Ginestra comune, Rosa canina e Prugnolo selvatico. Nelle praterie, sono abbondanti Ranuncolacee, Leguminose, Ombrellifere, Composite, Labiate, Graminacee. Spettacolari fioriture di Orchidee fanno di queste praterie uno dei siti più ricchi della provincia. Tali spazi si costituiscono non solo come ideali territori di caccia di importanti rapaci come l’Aquila reale, il Falco pecchiaiolo, la Poiana, il Gheppio e il Falco pellegrino ma anche come rilevanti siti di riproduzione, alimentazione e nidificazione sia di alcuni rapaci diurni come l’Albanella minore che di piccoli e importanti passeriformi: Allodola, Tottavilla, Calandro, Fanello, Codirossone, Averla piccola, Sterpazzolina, Ciuffolotto, Strillozzo, Quaglia, Succiacapre, Magnanina. Tra i mammiferi ricordiamo il Lupo appenninico, la Volpe, il Cinghiale, il Capriolo, il Daino, la Lepre.

 

Geo-morfologia e Paleontologia

Il canyon, le pareti calcaree alte e strapiombanti con le sue guglie, cavità, creste, cenge e balze sono un vero e proprio libro aperto sulla storia geologica, geomorfologica e paleontologica della Gola del Furlo. Il complesso montuoso è formato da calcari di origine sedimentaria appartenenti alla cosiddetta Successione Umbro-marchigiana, risalente tra 200 e 15 milioni di anni fa. La successione delle unità litostratigrafiche a partire dai termini più antichi comprende Calcare Massiccio, Corniola, Rosso Ammonitico (ben visibile sul Monte Pietralata), Formazione del Bugarone, Calcari Diasprigni e Calcari e Marne a Posidonia, Calcari a Saccoma ed Aptici, Maiolica, Marne a Fucoidi, Scaglia Bianca, Scaglia Rossa, Scaglia Variegata, Scaglia Cinerea, Bisciaro, Schlier.

Le formazioni rocciose del Giurassico che affiorano ampiamente nella Gola del Furlo sono ricche di Ammoniti, Molluschi Cefalopodi, che ebbero un’eccezionale diffusione nei mari del Mesozoico, da 225 a 65 milioni di anni fa. La Gola del Furlo risulta essere uno dei giacimenti più ricchi e famosi d’Europa. Fra queste Ammoniti alcuni generi e specie hanno nomi che fanno riferimento al Furlo, ad esempio i generi Furloceras e Furlites e la specie Taffertia furlensis.

La formazione della Gola del Furlo ebbe inizio ben 15 milioni i anni fa, con il lento e progressivo sollevamento della dorsale appenninica e il lento e inesorabile lavoro di incisione del corso d’acqua con seguente separazione definitiva del Monte Pietralata (889 m) dal Monte Paganuccio (976 m).

 

ECCELLENZE STORICO-ARCHITETTONICO-CULTURALI

 

Siti archeologici:

La strada Consolare Flaminia e le Gallerie romane

Realizzata attorno al 220 a.C. per volere di Gaio Flaminio, come collegamento tra Roma e Ariminum (Rimini), il tratto dell’antica via valicava l’impervia strettoia tra i monti Pietralata e Paganuccio, sulla sinistra del fiume Candigliano, in un percorso già frequentato in epoca preromana.

In origine sul tratto di strada Consolare Flaminia della Gola del Furlo, non esistevano le gallerie: il piano stradale del 220 a.C. infatti venne ricavato aggirando lo sperone della montagna, e praticando, per un lungo tratto di quasi 200 m, alcuni tagli sulla parete rocciosa, ottenuti con piccone, mazza e scalpello per un’altezza di 10-12 m. Tale piano di transito esterno alla montagna, largo tra i 6.00 e i 5.40 m, è in parte ancora ben conservato e sono riconoscibili i solchi dei carri che lo percorrevano a doppio senso di marcia. Alcuni cedimenti verificatisi già in antico, determinarono l’instabilità prima e l’inagibilità poi di una parte del piano stradale. In età augustea (27 a.C.- 14 d.C.), contestualmente ad un cospicuo intervento di restauro, che la strada Consolare subì lungo tutto il suo percorso, venne creata una serie di imponenti muri di terrazzamento, noti come muri di sostruzione, ancora oggi ben visibili anche se in parte sommersi dall'acqua del moderno lago artificiale, che sostenevano la carreggiata nei punti critici.

La prima galleria, di piccole dimensioni (lunga 8 m e larga circa 3.30 m), fu scavata come soluzione temporanea, permettendo il passaggio di un solo carro. Questo piccolo traforo, in definitiva, viene a costituire una sorta di by-pas, per fornire uno stretto passaggio di emergenza alla via Flaminia e aggirare lo scosceso costone della rupe in precedenza franato. L'epoca di apertura del piccolo traforo va collocata tra la costruzione dell’attigua poderosa sostruzione (che qui raggiunge un’altezza anche di 20 metri), attuata in età augustea, e la realizzazione della 'Grande' Galleria, aperta all'epoca di Vespasiano, nel 76 d.C. (M.Luni, Archeologia nelle Marche, Firenze 2003).

La seconda galleria (tuttora in uso) venne realizzata dall’imperatore Vespasiano, fra il 76 e il 77 d.C. Tale opera rappresenta uno dei migliori esempi conservati di tunnel di epoca romana, posti lungo tracciati stradali; una tipologia di infrastruttura di per sé piuttosto rara (in Italia se ne contano infatti meno di venti).  Più interno e più lungo rispetto al precedente, questo secondo traforo (lungo 38 m, largo mediamente 5.30 m circa e alto 6 m), venne scavato nel calcare con percorso leggermente in curva.

 

Il Chiavicotto

Per migliorare, consolidare e rendere più agibile il percorso della Strada Consolare Flaminia, l’Imperatore Augusto fece realizzare una serie di opere in muratura, talvolta monumentali, quali tagli di pareti di roccia, ponti, sostruzioni, viadotti etc. Una di queste opere, è stata individuata al di sotto della sede stradale romana, circa 100 m più a est dall’ingresso orientale della galleria di Vespasiano. Nota come chiavicotto, aveva la funzione di far defluire le acque, che sgorgavano dalla montagna, verso la valle fluviale al fine di salvaguardare lo stato dello strada. La struttura originaria del monumento si riconosce nella parte inferiore, a valle, dove scaricano le acque, caratterizzata da un emiciclo a gradoni che consente un maggior sostegno della parete e facilita il deflusso delle acque.

 

Il Viadotto romano

Presso l’Abbazia di San Vincenzo si trovano i resti di un viadotto a grandi blocchi di pietra con contrafforti di epoca augustea. Il viadotto faceva parte delle sostruzioni dell’antica strada Consolare Flaminia, con lo scopo di ripararla dalle piene rovinose e repentine del Candigliano e far defluire così, attraverso due chiavicotti, le acque provenienti dalle pendici del Monte Pietralata. Si tratta dunque di una vera e propria opera muraria di sostegno alla strada Flaminia, appositamente realizzata in uno dei punti critici della strada stessa: dove le frequenti esondazioni del corso d’acqua, rendevano particolarmente difficoltoso il trasporto delle merci e incerto il transito degli eserciti e delle persone

                              

La Grotta del Grano

Sito archeologico ubicato al centro della Gola del Furlo, alla base dell’imponente parete del Monte Pietralata, racconta una storia umana iniziata ben 3.000 anni fa. Tipica nicchia di erosione scavata dal fiume Candigliano, fu utilizzata come riparo naturale fin dall’età preistorica durante l’attività di transumanza dei pastori verso i passi appenninici. Fu grazie agli scavi archeologici, effettuati nel 1938 dal prof. P. Graziosi dell’Istituto di Paleontologia Umana dell’Università degli Studi di Firenze, che venne riportato in luce un deposito antropozoico. I materiali rinvenuti (per la maggior parte ceramici con alcuni elementi in pietra) sono conservati oggi presso il Museo Fiorentino di Preistoria. Tuttavia il nome Grotta del Grano deriva dal rinvenimento, avvenuto nell’Ottocento durante i lavori di riassetto della strada, di una ricca provvista di grano e di altri cereali carbonizzati, attribuibile al periodo immediatamente successivo alla guerra greco-gotica (VI sec. d.C.). Quando cioè i Longobardi, in marcia verso Roma, nel 571 d.C. distrussero definitivamente con il fuoco il castello  gotico: una fortezza in legno fatta costruire da Vitige, re dei Goti, a controllo della strada Flaminia.

 

Diga ENEL del Furlo

Ubicata all’ingresso Est del canyon, in Comune di Fermignano, la diga idroelettrica del Furlo è una tra le più famose e spettacolari del Centro Italia. Finita di realizzare nel 1921, è del tipo ad arco gravità, alta 47 metri con uno sviluppo del coronamento di 50 metri. Trattandosi di una diga di sbarramento, ha modificato il Candigliano (il corso d’acqua che attraversa il canyon) da torrente a fiume, creando all’interno della Gola del Furlo per tutta la sua lunghezza (circa 3 km) un lago artificiale e determinando nei decenni un innalzamento del letto del fiume. La diga alimenta la centrale idroelettrica che, localizzata in origine ai piedi della diga e completamente distrutta durante il secondo conflitto mondiale, è stata ricostruita più a valle nel 1952.

Oggi ancora funzionante, può essere ammirata in tutta le sua bellezza dalla strada Flaminia; solo durante particolari iniziative i visitatori, accompagnati in sicurezza dal personale Enel, possono passeggiare sul coronamento della diga stessa.

 

La Chiesetta del Monte Pietralata

La Chiesetta e i ruderi del Castello di Pietralata ubicati su uno sperone roccioso a 545 m di quota del monte omonimo. Nei dintorni si trovano alcune antiche case in pietra, quali testimonianze della presenza di una comunità ivi presente fino a qualche decennio fa. Il Castello di Pietralata è una costruzione risalente ai primi anni dell'XI secolo. Della costruzione originaria è giunto fino a noi il poderoso muro di cinta alto poco meno di 10 metri, le rovine del complesso centrale del mastio, risalenti anch'esse all'XI secolo, una chiesa ancora consacrata (con fondamenta che poggiano direttamente su substrato roccioso) e una casa canonica annessa risalente al XIV secolo, disposta su tre piani, collegata alla chiesa con un particolare corridoio sospeso. Al di fuori delle mura è presente una costruzione che un tempo ospitava una scuola comunale, risalente al secolo XVIII, dove è ora presente un'attività ristorativa privata.

 

S. Maria delle Grazie del Furlo

La piccola chiesa di Santa Maria, che si trova presso l’uscita est della galleria, è stata costruita, occultando parte del primo e più antico tracciato stradale della Flaminia, alla fine del ‘400 sulle rovine di un precedente edificio. In prossimità dell’entrata nord-est della galleria romana del Furlo, nel Comune di Fermignano e interamente costruita con la pietra del Furlo, tra la finestra di sinistra e la porta, si può leggere, a stento, la scritta “la mano stendi e grato dono invia a chi vi regna e la dirai Maria”. Tale scritta testimonia la sua antica funzione di ringraziare per lo scampato pericolo o di ingraziarsi la Madonna del Furlo nell’attraversamento della gola, particolarmente minacciata dai briganti e incerta per le rovinose piene del fiume Candigliano. Sopra la scritta era presente una fenditura, oggi purtroppo chiusa, nella quale i viandanti inserivano l’obolo per ringraziare la Madonna. Con il tempo la funzione della chiesetta venne meno e nel 1911 sopra la finestra di sinistra venne posta l’epigrafe, a ricordare la resistenza qui posta dal colonnello Pinciani nel 1849, per impedire agli austriaci, accorsi in difesa di Pio IX, di avanzare, difendendo così la Repubblica Romana.

 

L’Abbazia di San Vincenzo

La chiesa di S. Vincenzo è quel che resta oggi di un’antica abbazia del sec. VIII. Quel che rimane oggi dell’antico monastero è la chiesa, in stile romanico, riedificata nel 1271, dopo che nel 1264 il cenobio fu distrutto e il monastero gravemente danneggiato. Lo attesta l’iscrizione del portale su cui si legge che essa fu costruita dall’abate Bonaventura: “A.-D. MCCLXXI. ECCLESIA VACANTE. ET IMPERIO. NULLO, EXISTENTE. BONAVENTURA ABB(BA) S S. VINCENTII. H(OC) OPUS FIERI FECIT”. L’interno conserva una delle sue originarie navate e presenta un’alta tribuna chiusa, cui si accede attraverso una stretta gradinata centrale, una cripta a tre navate con antichi capitelli e un altare del IX o X sec. Nella parte destra e nel presbiterio si trovano resti di antichi affreschi.

 

La pietra del Furlo

Passeggiando nel territorio della Riserva, variegato nella sua caratteristica componente geomorfologica, e lungo la strada Flaminia che attraversa la suggestiva Gola e il piccolo abitato del Furlo, è possibile scoprire significative testimonianze storiche e culturali delle attività di estrazione e lavorazione della pietra del Furlo. I numerosi siti di cava oggi abbandonati e i manufatti in pietra presenti sul territorio, risalenti a vari periodi storici, illustrano l’evoluzione del rapporto fra risorse naturali e presenza umana, così come si è andata configurandosi nel tempo storico fino ad oggi. Chiavicotti, sostruzioni, gallerie e viadotti romani, pietre miliari, cordoli stradali, marciapiedi, case, fontane, statue, lapidi, cave oggi chiuse… segni, antichi o recenti, del faticoso e pericoloso lavoro del cavatore e dell’abile maestria degli scalpellini del posto. Due i tipi di materiale lapideo estratto fino alla chiusura della cave: la pietra corniola di colore grigio e la pregiata pietra rosa del Furlo (formazione rocciosa calcarea della Scaglia Rossa) di cui è possibile osservare alcuni siti di cava dimessi salendo la strada panoramica del Monte Pietralata  o percorrendo la strada Flaminia dall’abitato Furlo in direzione Acqualagna. L’attività di estrazione e di lavorazione della pietra ha rivestito un ruolo di primo piano nell’economia locale e ha reso gli scalpellini locali veri maestri nella lavorazione della pietra tanto da essere chiamati in opere di restauro e/o di realizzazione di strutture architettoniche a livello sia regionale sia nazionale. A tutt’oggi, nonostante la chiusura delle cave del Furlo, la lavorazione artistica della pietra rimane una delle attività economiche più caratterizzanti il territorio specializzate nella lavorazione della pietra e nella realizzazione di manufatti di vario genere, come ad esempio: caminetti, lapidi, arredi per cucine…

 

Tartufaie

La storia della tartuficoltura al Furlo risale al 1932, quando Francesco Francolini, direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Spoleto, realizzò sul M. Pietralata la prima tartufaia artificiale non sperimentale della storia della tartuficoltura italiana. Il generale Lorenzo Mannozzi Torini, grande appassionato di tartufi, incrementò la presenza di tartufaie coltivate raggiungendo nel 1958 la superficie di 52 ha. Degna di nota è la tartufaia che Mannozzi-Torini impiantò sul M. Paganuccio negli anni sessanta. Nelle Marche, la Provincia di Pesaro e Urbino è forse la provincia tartufigena con la migliore vocazione. Il Comune di Acqualagna con i suoi tre eventi dedicati al prezioso tubero fra cui l’annuale e sempre attesissima Fiera Nazionale del Tartufo bianco, è riconosciuta in Italia (e non solo) come Capitale del Tartufo nelle Marche.

Nel nostro territorio si trovano tutte le specie di tartufo commercialmente più importanti: Tuber magnatum Pico (Tartufo bianco pregiato), Tuber albidum Pico (Tartufo bianchetto), Tuber aestivum (Tartufo scorzone), Tuber melanosporum Vitt (Tartufo nero invernale). Pregiato prodotto del bosco, fruttifica sotto terra solo in particolari condizioni di salubrità del terreno e di condizioni climatiche, in particolari habitat pedologici e in presenza di particolari piante con cui vivono in simbiosi (quali la quercia, il salice, il pioppo, il faggio, il pino e il nocciolo), dalle quali dipendono non solo  la specie tartufigena ma anche l’intensità e la finezza del profumo.